Viviamo accanto a una voragine, si dice, ognuno con la sua, più o meno grande. Il buio o la luce scivolano tra le pieghe della vita. Siamo talmente abituati ad accettare le ombre del sole ch’esse scompaiono ai nostri occhi. Una percentuale costante di superficie sfugge ai nostri sensi e il nostro cervello taglia e cuce accettando l’irrealtà costante.
Mi viene in mente quel monologo del fu Freccia…
«credo che c’ho un buco grosso dentro ma anche che il Rock ‘n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro e le stronzate con gli amici, beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono; credo che la voglia di scappare da un paese con 20.000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx; credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, certi momenti, ti serve molta energia»
Penso al discorso di Ovosodo.
«Tutte le mattine, prima di portare Giovanna al nido, e poi andare a lavorare in ospedale, Susy mi accompagna al lavoro in macchina. E tutte le mattine, che piova o ci sia il sole, lei mi dice la stessa identica cosa: “sei sempre più bello”. E io vado a lavorare contento. Chi lo sa, forse sono rincorbellito del tutto, o forse sono felice. …a parte quella specie di ovo sodo dentro, che non va né in su né in giù, ma che ormai mi fa compagnia come un vecchio amico…»
Scambio pareri, scontro, incontro, contagio la vita che mi ha infettato d’esistenza. Mi volto e non vedo altro che menti sopite sotto coltri d’apatia. Sono senza simili. Probabilmente sono il più debole di tutti: sembra apparire solo a me impossibile il rifiuto di vedere. Non posso diradare una nebbia che non esiste e mi chiedo perché? Condanna e giudizio? Assolutamente no.
E’ inutile gridare in un mondo che accetta normalmente il rumore come se fosse sempre esistito, quand’invece esiste da 100 anni su 5 miliardi in questo margine minuscolo di superficie in cui tutta la specie umana vive.
Un globo che accetta la teodicea e i sistemi non evoluti, che lascia che sia, che non penetra perché non può farlo…
Sono stanco, cado e mi rialzo. Non cancello il dolore, ci nuoto, mi tiene vivo, mi fa sentire che esisto ancora. Non rifiuto, accetto e mi conosco, perseguo ciò che devo, anche quando vorrei tutt’altro, non chiudo mai gli occhi. Non fingo mai, scolpisco in me le ferite della vita, esisto quindi esisto. Non ci sarà mai nessun ovosodo in me, nessun vuoto, sanguinerò fino all’ultimo giorno di coscienza, ma morirò consapevole di ciò che accade, senza alcuna barriera.
La vita è bella per la mostruosità che è, stupendamente orrenda.