Ho perso il conto di quante volte l’abbia fatta… forse 30 volte, ma non ricordo. La prima era con Andrea Marzemin, era l’estate dell’81. Quel giorno era come mercoledì scorso: caldo un po’ afoso e con grossi nuvoloni che arrivavano dal basso. Naturalmente attaccammo prestissimo; salimmo la Mussaia a piedi ed alle prime luci dell’alba, lasciando il vecchio maggiolino al torrente solo perché la sbarra non consentiva di salire oltre.
La nostra attrezzatura era composta da 3 staffe a testa, rinvii, chiodi e martello, uno solo però, zaino e giacche pesanti. Ci mettemmo circa 8 ore; era un tempo normale, non ci sentivamo certo eroi, ma comunque era stata una bella esperienza.
L’avevamo trovata difficile al punto giusto ed anche la discesa rispondeva esattamente a quanto detto dalla vecchia Dal Bianco-Angelini; comunque, a parte due corde doppie incastrate, ma anche liberate, tutto filò liscio.
Andrea arrampicava da qualche anno, ma prima di farlo con me aveva fatto solo vie facili.
Io invece avevo iniziato da poco, tuttavia si procedeva sempre e rigorosamente a tiri alterni e se c’era un contrasto nasceva sempre dal fatto di voler andare per primi, mai viceversa. Non ci sentivamo, e non eravamo, dei fenomeni ma, sebbene anche in quegli anni si frequentassero le palestre di roccia (erano gli anni di Manolo, Mariacher, Edlinger, Pedrini, Berault, Bonaldo, Campanile e tanti altri) in montagna ci sentivamo assolutamente a nostro agio pur divertendoci un mondo anche a scalare strutture brevi o addirittura dei sassi.
Agosto 2010, tranquilli e beati saliamo il sentiero che porta alle cengia d’attacco “Cassin-Carlesso”. Siamo in tre: la guida alpina Santiago, Cristian, un ragazzo giovane che dalla pianura ha deciso di trasferirsi a Zoldo per fare l’apicoltore e scalare, ed io.
Due corde, 10 rinvii ed i secchielli per scendere; giornata non perfetta, ma previsioni soddisfacenti, e tanto ci sono le cenge per scappar via…. Lungo il sentierino che sale direttamente il canale incrociamo due ragazzi che scendono, attrezzatura perfetta facce giuste ma scendono, è troppo tardi e non si fidano… sono le nove; piuttosto che mettersi nei guai è certamente più apprezzabile e responsabile questa scelta, ma ciò mi è di stimolo per una serie di considerazioni; discorsi tuttavia già fatti e condivisi anche con i vari gestori dei rifugi del Civetta.
In trent’anni sono ovviamente cambiate tante cose, non certo però attrezzature o sistemi se non in modo assolutamente marginale. Il livello tecnico medio si è alzato in maniera esagerata grazie al proliferare delle falesie e delle strutture artificiali; i bambini nelle “garette” della scuola media salgono il 6c e chi inizia ad arrampicare, dopo un mese, tenta addirittura un 7a.
Se non fai almeno l’8a nel mondo dell’arrampicata non esisti, ed allora perché il livello medio in montagna si è abbassato? Perché i tempi medi di percorrenza delle grandi salite si sono allungati anziché ridursi come sarebbe logico, e come fino ad un certo punto si è verificato?
Eppure una via come la Cassin alla Trieste è comoda; accesso breve, soste ottime, chiodatura buona, possibilità di ritirata per le cenge, roccia bella ed a tratti fantastica. Forse la discesa complicata, ma con un po’ di intelligenza è fattibile in un paio d’ore.
Salendo la cengia superiamo le belle piazzole per bivacco protette da muretti a secco. Racconto ai miei amici, con un po’ di nostalgia, che negli anni 80 i venerdì ed i sabati d’agosto non si poteva arrivare troppo tardi il pomeriggio, per non rischiare di trovare tutto pieno; scalatori di ogni nazionalità aspettavano l’alba per attaccare. Era bello perché tutti “sapevano di montagna”, si discuteva di vie, chiodi, passaggi, ma anche di filosofia e religione; credo che anche il livello intellettuale e culturale fosse più alto….
Oggi penso che una via del genere abbia 30 ripetizioni all’anno; d’altronde la scorsa stagione la Solleder è stata salita un paio di volte e la Philipp qualche volta in più nonostante le condizioni meteo non siano state malvagie.
Forse certi itinerari sono troppo facili, ma a giudicare dai tempi di percorrenza medi non direi, o forse gli alpinisti sono tutti concentrati sul Pesce, su Donna Fugata o su salite molto difficili. Ma questi sono un’èlite; e gli altri? E gli alpinisti medi che si accontentano delle classiche di sesto con magari qualche tratto di 6b o 6c dove sono finiti? A volte ne trovo, ma sono spesso ancora quelli dimenticati dagli anni 80.
A volte vorrei essere superato da qualche giovane baldanzoso e scaltro, ma vedo che molto spesso siamo ancora noi “vecchiotti” a chiedere di passare. Dunque, a parte le rare eccellenze (una fra tutte quella di Auer, slegato sul Pesce, vero risultato di allenamento, passione, coraggio ed eccellente equilibrio psico-fisico, di mega vie sul Trango o su altre grandi pareti) noto che si sta perdendo un po’ di interesse per la montagna e non credo nemmeno che basterebbe cementare le soste per rendere nuovamente popolari certe vie.
Un altro dato significativo é che mediamente le vie di falesia (perlomeno di certe falesie) in 30 anni sono state rivalutate verso l’alto, mentre in montagna i gradi sono rimasti invariati e quindi con una gradazione tecnica più alta, anche considerando la protezione che spesso, almeno sulle classiche, equivale, come affidabilità, a una fila di spit.
In montagna alcuni sesti superiori, sebbene protetti da super chiodi, mettono in difficoltà buoni arrampicatori sportivi che considerano il 6a un sentiero e non posso credere che si tratti solo di una questione psicologica.
Per anni abbiamo comunicato la montagna, l’esperienza, il gioco. Il nuovo mattino ha voluto abbattere miti e tabù; ai vecchi eroismi d’èlite si è voluto sostituire una “parete”, che seppur difficile e pulita doveva essere popolare, giovane, colorata ed alla portata di tutti e non solo di pochi eletti.
Pensavamo che le nuove idee degli anni 80 portassero alla nascita di alpinisti fantastici e fortissimi, più sicurezza dovuta alla preparazione e aumento del livello medio ..e invece niente di tutto questo… dove abbiamo sbagliato?
Considerazioni sulla salita:
Chiodatura ottima ed abbondante, soste buone, ma da gestire con intelligenza, nel senso che anche uno spuntone o una clessidra consentono una sosta a prova di bomba. Abbiamo preferito salire il terzo tiro più a destra perché più asciutto, mentre il secondo dopo la seconda cengia l’abbiamo superato sulla placca grigia anziché aggirare lo spigolo a sinistra per infilarsi nei diedri originali di Cassin.
La discesa, se fatta correttamente, è facile ed abbastanza veloce. Consiglio di scendere arrampicando fin sopra il camino Cozzi, da qui una doppia da 30 metri giusti giusti, quindi per un sentierino fino a dei cordini con moschettoncini. Due doppie da 55 e 60 metri, cengia monolitica a sinistra (faccia a valle. Direzione est, nord-est) fino ad un anello resinato che con 55 metri deposita alla grotta da dove si passa fino ad un altro anello che consente di arrivare alla seconda cengia.
Sentiero pestato sino ad un altro anello; consigliabili due doppie corte (anziché una unica) fino ad un agevole canale… attenzione che dopo un centinaio di metri si attraversa a sinistra ad una forcellina con ometto, la si supera e si cerca l’ennesimo ancoraggio a chiodi. Da qui una serie di doppie, gestibili in modo diverso, portano al ghiaione. In tre siamo scesi in poco più di un’ora e mezza , quindi presumo che sia una delle migliori soluzioni.
Tags: arrampicata, ripetizione, via Cassin