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15 Giugno 2006

Alpinismo e Spedizioni · Bambini · Climbing · Escursionismo · Giovani · Interviste · Alpinismo e Spedizioni · Climbing · Hiking e Trekking · Vertical · Walking · Family & Kids

UN ALPINISTA CHE AVVICINA I BAMBINI ALLA MONTAGNA Intervista a Cesare Maestri

Cesare Maestri - foto: Andrea BianchiNato a Trento nel 1929, guida alpina, maestro di sci, scrittore, Cesare Maestri – il “Ragno delle Dolomiti” – è uno di quelli che ha contribuito a fare la storia dell’alpinismo: dalla parete Sud-ovest della Marmolada, affrontata in solitaria, alle spedizioni alpinistiche in Africa e Argentina, dove è stato tra in conquistatori del Cerro Torre.
Intensa e multiforme la sua attività di scrittore, che vede al suo attivo libri di riflessione autobiografica oltre che numerose collaborazioni con testate nazionali ed estere; è inoltre socio accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna.
Cesare Maestri vive a Madonna di Campiglio, dove svolge tuttora la professione di guida alpina con particolare attenzione all’educazione alpinistica e ambientale dei giovani e dei bambini. Proprio su questa sua attività ci siamo soffermati maggiormante nell’intervista che segue, realizzata lo scorso 3 maggio. Inauguriamo così anche le categorie tematiche Giovani e Bambini, argomenti sui quali torneremo spesso nei post di Mountain Blog.

D: Parliamo dei giovani… mi stavi dicendo poco fa che a loro ti sei sempre sentito vicino…
R: Sì, e penso di avere sempre trovato un modo di colloquiare con loro. Ogni estate ad esempio mi occupo di un programma per conto della ApT di Campiglio che si chiama “grandi avventure per piccoli uomini”: porto a spasso i bambini per una giornata, con la scusa di portarli a vedere le marmotte.
Portando a spasso questi ragazzi sani – dai 6 ai 12 anni – mi sono reso conto che c’è un mondo di ragazzi non sani che non possono andare da nessuna parte, perché costretti ad un letto per morire o purtroppo per “vivere”…

D: So infatti che devolvi il tuo compenso per questa attività di guida a favore della ricerca contro la distrofia muscolare e i tumori infantili
R: Sì…

D: Tornando ai bambini sani, che cosa fai con loro quando li accompagni in montagna?
R: Li porto a spasso, gli insegno l’attenzione all’ambiente, e cerco in quella giornata di spiegar loro come ci si muove, come si rispetta l’ambiente, a non urlare, ad esempio, o il modo, il gesto atletico del camminare, sia in salita che in discesa, il passo, la velocità del passo.
Ma queste sono tutte cose che mi servono per indicare loro il modo di andare in montagna, senza toccare il perché, visto che in realtà ci sono milioni di perché: io dico sempre “un alpinista un alpinismo, mille alpinisti mille alpinismi”. Riguardo a questo quindi la semplice parola “alpinismo” non vuol dir niente: quando facevo il direttore della scuola di roccia ho sempre insegnato come ci si muove, il gesto atletico dell’arrampicata, la sicurezza in parete; quando poi son diventato più vecchio e ho cominciato ad andare a spasso con i bambini ho insegnato loro come si cammina, come si affronta l’ambiente della montagna, senza entrar nel merito del perché.
È un’idea un po’ velleitaria, perché tu pensi che non sia possibile, e invece da come li prendo la mattina a come li lascio la sera c’è già una piccola differenza…

D: Come li vedi cambiare in una giornata?
R: Non è un cambiamento macroscopico: continuano ad urlare, a tirarsi la cacca delle mucche, però mi accorgo di questo quando incontro i genitori qualche giorno dopo: i quali mi dicono “ah, nostro figlio ci ha detto che bisogna far così e così…”

D: Quindi da questo ti accorgi che rimane loro qualcosa…
R: Penso di sì, gli rimane addosso qualcosa…

D: questi sono bambini che immagino vengano dalle città, magari anche dalle grandi città – Roma, Milano, ecc.
R: Sì, sono abituati alla vita comoda…

D: E come li trovi questi bambini cittadini di oggi?
R: Mah, sai si dice che i ragazzi e i giovani non hanno questo, non hanno quello… però io dico – in modo forse provocatorio – che sono un nostro prodotto: se i giovani non hanno ideali – che non è vero! ma è la voce più comune – prendiamoci la nostra responsabilità.
Quello che mi fa piacere è che questi bambini vengono perché portati dai genitori – che hanno detto loro del Cesare Maestri alpinista e bla bla bla – ma poi entrano in contatto con l’esperienza della montagna, e in questo forse sono più avvantaggiati dei loro genitori…

D: Quando i bambini crescono e diventano dei ragazzi, rimane la tendenza di voler continuare a divertirsi… quindi sono attratti dallo sci, forse un po’ meno dallo sci alpinismo, piuttosto dallo snow board e altro…. Pensi che queste discipline sportive siano comunque modi che permettano di avvicinarsi alla montagna o che siano pratiche troppo ludiche, “superficiali”?
R: No, io parto dal presupposto che tutti i modi sono buoni per avvicinarsi alla montagna: c’è chi è contrario ad esempio alle ferrate, alle calanche ecc. Diciamo subito che secondo me l’unica cosa che lega una salita in falesia all’alpinismo è il gesto atletico, però io credo che potrebbe essere una porta di entrata per chi vuole affacciarsi all’alpinismo, o una porta di uscita per chi è stufo o non ha più possibilità di fare grandi fatiche, di prendere grandi rischi…

D: E qui tocchi una differenza: quella che passa tra la montagna “ludica” o sportiva, e l’alpinismo vero e proprio, fatto magari più di sofferenza e di imprese estreme, che è poi quello che hai fatto tu per molti anni… Tu perché hai fatto questa scelta? Che cosa ti ha portato a questo tipo di vita in montagna? Avresti potuto fare solo il maestro di sci…
R: No, intanto io ho fatto una grande fatica a diventare maestro di sci, ho fatto come minimo dieci esami! Lo sono diventato solo perché adoperavo gli sci per andare in montagna… Però la mia – quella dell’alpinismo – è una scelta diversa, non può far testo: come è noto provengo da una famiglia di teatro – mio padre, mia madre, mia sorella, mio fratello – l’unica pecora nera sono io, che però in un certo senso ho scelto un teatro più grande, le montagne. Ho sempre pensato che le montagne diventino
vive nel momento in cui tu entri nella montagna e partecipi ad essa, altrimenti sono solo degli stupendi mucchi di sassi…

D: Continuiamo questo “gioco” del teatro: l’alpinista diventa quasi un protagonista, un attore sul palcoscenico della montagna? E che cosa “recita”?
R: Io parlo per me, sia ben chiaro! E poi allargherei la discussione, anche perché a me personalmente non è mai piaciuto fare l’attore: ho sempre chiesto ai miei fratelli, e a molti attori che ho conosciuto, come Gassman ad esempio, se l’attore abbia una personalità talmente marcata per poter interpretare migliaia di ruoli, o la sua personalità sia in realtà talmente poco forte. Però nessuno mi ha mai saputo rispondere…

D: E in montagna, per te, che cosa è successo?
R: Per me, io ho sempre detto che è stato un modo per esprimermi, realizzarmi nella società: per me la montagna è stata come il tornio per il tornitore, il piano per il pianista, e il teatro per l’attore…

D: Lo può essere ancora oggi per un giovane? Anche oggi che ci sono gli sponsor, che c’è un alpinismo più mediatico?
R: sì, perché no? Ma rimane sempre che ogni alpinista ha il suo modo personale di fare e intendere l’alpinsimo. Io mi sono sempre battuto alla morte dicendo che l’alpinismo è la più bella forma di “anarchia” – nel senso greco del termine – che possa esistere: perché ognuno fa quello che vuole, senza canoni, senza regole, però nel rispetto assoluto della libertà, ricordando che la mia libertà comincia e finisce dove comincia quella dell’altro.

D: Ad un giovane che volesse avvicinarsi all’alpinismo in qualsiasi modo, che cosa consiglieresti?
R: Ti dico come ho sempre finito i miei corsi di roccia, e anche quello che dico sempre oggi quando porto i bambini in montagna a vedere le marmotte o con le ciaspole: prima di lasciarli cerco di dire “montagna per vivere e non per morire”. Perché in montagna è facile morire: se giocando a pallone tu sbagli sotto porta non fai goal, ma in montagna se sbagli sotto porta ti ammazzi…

D: Vuoi dire che il rischio gratuito non ha senso?
R: Direi piuttosto che il pericolo, il pericolo di mettersi in gravi situazioni è sempre presente. Il rischio è un’altra cosa: io ad esempio credo di essere stato un alpinista prudente, certo che la mia prudenza non è mai stata quella della vecchietta che attraversa la strada, che si guarda in giro cinquanta volte; la mia prudenza è stata guardare che gli appigli non si levino, e soprattutto è stato di non andare mai al di là delle mie possibilità. Ho sempre cercato, come principio della mia attività alpinistica, di fare qualcosa in più certo, ma con una certa gradualità: in altre parole non sono mai passato dalla prima alla quarta.

D: E la sofferenza, nell’alpinismo, quella è inevitabile?
R: Credo che faccia parte dell’insegnamento dell’alpinismo: io dico sempre che andando in montagna ho imparato innanzitutto a non andare mai a cercare appigli al di sopra della lunghezza del mio braccio, e poi “a tirarmi su le braghe”, a stringere i denti, a fare dei sacrifici: per queste cose seondo me la montagna può essere una scuola di vita, però poi per non dare troppa “spiritualità” alla cosa, finisco sempre dicendo che la montagna esaspera tutto, e quindi anche le tue caratteristiche personali, nel bene e nel male.

D: Non è la prima volta che accenni al timore di dare troppa spiritualità alla montagna, perché?
R: Perché io sono non credente e profondamente laico: se c’è una cosa che mi infastidisce è l’attuale peso che hanno le forme religiose sul modo di vivere delle persone, sulla vita e sulla società.

D: Spiritualità però non è necessariamente religione… in montagna forse si può trovare un contatto con se stessi…
R
: Infatti, ma io non dico che uno non debba andare in montagna per cercare Dio, io dico solo che chi va in montagna per cercare Dio non deve dire a me “vai su che troverai Dio”: Dio è di chi ci crede, e non ha una veste, un colore, una bandiera…

D: E Cesare Maestri, in particolare, non ha mai cercato sulle cime qualcosa di trascendentale?
R: No, io ho goduto della spiritualità del silenzio, della bellezza, e ringrazio ancora oggi la montagna di avermi dato un senso alla vita. C’è quella lapide di Spoon River che dice “dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio – è una barca che anela al mare eppure lo teme.”. Ecco io ho sempre trovato una spiritualità in montagna, ma quello che mi dà fastidio è che quando si parla di alpinismo si tende sempre ad alzare gli occhi al cielo, e questo non mi va bene, ma questo vale per me personalmente.

D: Facciamo una passo indietro, tornando con i piedi per terra a questo discorso iniziale dei bambini: che cosa può dare la montagna ad una famiglia con bambini?
R: Delle bellissime giornate di svago, di calma, di bellezza proprio, non bisogna cercare, credere che ogni volta che vai in montagna è come se andassi a scuola: ci si diverte, ma si può anche andare a scuola e divertirsi allo stesso tempo.

D: Ai bambini insegni che la montagna è pericolosa?
R: Eh cavolo, è una delle prime cose che dico loro: insisto tanto dall’inizio alla fine della giornata. Non è che la montagna è pericolosa: io insegno loro che in montagna bisogna fare molta attenzione, perché è molto facile fare degli errori , e gli errori si pagano sempre, e se non si pagano vuol dire che hai avuto fortuna.

D: E i bambini sono più avvantaggiati nel capire questo rispetto ad un adulto già formato?
R: Penso di sì , perché il terreno è più vergine. Molti anni fa ho incontrato sulle Bocchette un genitore con una bambina slegata e gli ho detto – senza sapere che un quarto d’ora prima un’altra guida gli aveva fatto la stessa osservazione – “ma perché la lascia slegata?”, e lui mi ha risposto più o meno di farmi gli affari miei… un’ora dopo la bimba era morta, caduta. Ecco vedi a me ha sempre dato un gran dolore vedere tanta gente – che hanno il ruolo di isegnanti o pedagoghi – credere di avere anche le capacità tecniche per essere delle buone guide: ma penso che le statistiche ci dicano che la fatalità – spesso usata dai giornalisti per motivare gli incidenti – rapresenti lo 0,1 % delle cause. Quando si legge sui giornali “era esperto”, beh l’esperienza è un’aggravante, non un’attenuante; io su questi temi sarei molto rigido.

Intervista di Andrea Bianchi.
© Etymo gmbh-srl.

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