Un alpinista, considerato fra i maggiori del mondo, a una precisa domanda sulle vicende alpinistiche di Severino Casara, rispose seccato che lui si occupa solo di grandi uomini e non di “mezze figure”. Di fronte alla maestà e alla signorilità di una simile dichiarazione non possiamo che prendere atto e giudicare la battuta come un ennesimo gesto di impudente egocentrismo.
La “mezza figura” di cui vogliamo parlare è proprio lui, Severino Casara, nato a Vicenza il 26 aprile 1903.
La sua è una famiglia numerosa: padre, madre e otto figli, quattro maschi e quattro femmine, dentro un ambiente sereno e religioso, nel quale trova posto la carità ai deboli e agli emarginati.
La madre, Cecila Toniazzi, svolge un utilissimo servizio sociale; spesso esce di notte per raccogliere giovani prostitute che accompagna alla Casa della Provvidenza.
Il ragazzo, che dimostra temperamento calmo e tranquillo, preferisce lo studio e la lettura al gioco, ma non tanto da non parteciparvi assumendo sempre la parte dell’eroe.
La sua prima arrampicata si svolge sul muro del castello di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore sotto gli occhi del nonno terrorizzato che lo aiuta a scendere; come premio riceve in regalo un sonoro ceffone.
Il 3 novembre del 1918 si porta a Trento in bicicletta per essere presente alla liberazione della città. Nel 1919, sempre in bici, sale in Cadore, traversa fino a Cortina e Dobbiaco, poi scende a Brunico, Bolzano, Trento e rientra a Vicenza per la Valsugana. Nulla di straordinario, certo, ma il ragazzo ha solo 15 anni e le strade e i mezzi di allora non erano certo quelli di oggi.
Partecipa alle tendopoli della Sucai e inizia ad arrampicare. È di questo periodo, anni Venti, la prima salita italiana da lui compiuta sulla Punta di Frida in Lavaredo.
Nel 1921 realizza la sua prima via nuova nelle Piccole Dolomiti; nel 1922 un’altra al Baffelàn; nel 1923 altre otto vie nuove di cui tre nelle Dolomiti; nel 1924 “confeziona” dieci itinerari nuovi, tutti nelle Dolomiti del Cadore; nel 1925 ne compie dodici, compresa la discussa salita del 3 settembre agli strapiombi nord del Campanile di Val Montanaia. ù
Seguono altre nove vie vergini nel 1926 e la salita in vetta al Campanile “più bello del mondo”, cioè quello di Montanaia, per la posa della famosa campana, presenti ventitre alpinisti fra cui Luisa Fanton, Maria Breveglieri, Gina Pasti e i bellunesi Parizzi, Zancristoforo e Zanetti. Seguono altre otto vie nuove nel 1927, dieci nel 1928, quattordici nel 1929, quattro nel 1931, una nel 1936, una nel 1938, due nel 1940, cinque nel 1942, tre nel 1943, undici nel 1944, sette nel 1945, quattro nel 1947, due nel 1948, sei nel 1950, tre nel 1951, due nel 1954, due nel 1961, una nel 1962. Tutte in arrampicata libera, oltre a due vie in artificiale fatte sulla Cima d’Auronzo e al Salame del Sassolungo, entrambi con il fuoriclasse triestino Emilio Comici, morto il 19 ottobre 1940 nella palestra di Vallunga presso Selva di Val Gardena.
In totale le vie nuove realizzate da Casara sono 130. Sono solo numeri, tanti numeri noiosi, ma che hanno contribuito a scrivere la storia dell’Alpinismo.
Naturalmente ci sono nel suo curriculum numerose ripetizioni di vie classiche. Questo basterebbe per far capire che ci troviamo davanti ad un alpinista con i fiocchi, anche se le difficoltà tecniche non sono mai state eccessive.
Ma Casara non era solo un alpinista creativo, entusiasta e certamente un po’ malato di roccia; Casara era anche molto di più: sicuramente un puro, un genuino. Uno che per la montagna ha vissuto povero ed è morto povero.
Fu scrittore prolifico, per esempio.
La sua carriera si apre alla grande con Arrampicate libere nelle Dolomiti che esce nel 1944 ed è un inno a quelle montagne; seguono Al sole delle Dolomiti nel 1947; del 1950 è la seconda edizione, diversa dalla prima, di Arrampicate libere nelle Dolomiti; Cantico delle Dolomiti esce nel 1955; L’arte di arrampicare di Emilio Comici nel 1957; Le meraviglie delle Alpi nel 1957; Fole e folletti nelle Dolomiti nel 1966; Le Dolomiti di Feltre nel 1969; Preuss l’alpinista leggendario del 1970 (questo poderosa ricerca storica gli valse il massimo podio a Trento del neonato “Premio Itas”); segue Arrampicare come Comici, s. d.; poi Incanto delle Dolomiti nel 1978; Rapsodia africana, s.d.; Il Libro d’oro delle Dolomiti nel 1980.
Le Dolomiti del Piave è un dattiloscritto inedito che completerebbe la sua trilogia dedicata alle valli del Boite, dell’Ansièi e del Piave. Attualmente è in cantiere per una degna pubblicazione.
Casara parlava anche di un libro dal titolo Processo a un alpinista con la narrazione della sua discussa salita degli strapiombi nord del Campanile di Val Montanaia e le relative “persecuzioni” durate una vita. Ma questo volume atteso non è mai stato pubblicato, forse neppure mai scritto visto che in archivio non v’è traccia.
La sua opera letteraria, dunque, consta di 14 volumi. Opere che hanno lasciato una traccia profonda in coloro che li hanno letti.
Ma non è tutto. Casara è stato un eccellente regista cinematografico. Tutto inizia nel 1949 con un’opera prima indimenticabile: Cavalieri della montagna, un ottimo lungometraggio realizzato d’inverno sulle Tre Cime di Lavaredo dove i protagonisti sono lo stesso Casara (nella parte di Comici), Walter Cavallini (Paul Preuss) e il sommo Angelo Dibona (paterno custode del rifugio a Forcella Longeres-Auronzo). Nel 1950 esce Il più bel Campanile del mondo, quello di Montanaia naturalmente, quando sulla vetta, raggiunta da varie cordate, viene celebrata la prima messa. La Guglia Edmondo De Amicis, del 1952, è la funambolica traversata per giungere sulla vetta della celebre guglia sopra Misurina, un alpinismo acrobatico ante litteram. Le imprese di Emilio Comici, del 1952, è un caro ricordo del grande alpinista e amico personale del regista; il film si chiude con il tragico episodio della morte del grande triestino. Letargo invernale, del 1953, è opera poetica in una solitaria contrada di Sappada, fra le case di legno e la genuinità di allora, con la neve che racconta la vita di un inverno. La valle degli antichi guerrieri, del 1954, è una la leggenda dei fiori di montagna, un gioiello d’arte cinematografica. Luci d’oro sulle Dolomiti, del 1954, un quadro dalle tinte vivaci e affascinanti. Vita di Guida, del 1954, breve storia delle guide di Valtournanche che sostituiscono le corde sul Cervino. Han legato il gigante, del 1954, con le guide di Courmayer che cambiano le corde sul Dente del Gigante. Angoli del Cadore, del 1954, fresca finestra sul Cadore, un inno a quella terra, premiato al Festival di Trento nato poco prima, nel 1952. Luci d’oro nelle Dolomiti, del 1954, un autunno dolomitico con scene di scalate.
Le viole di San Bastian del 1955, racconta un giorno d’autunno in un angolo sperduto delle Dolomiti. Il Piave torrente, del 1955, storia di un giovane che nasce vicino alle sorgenti e muore in guerra alla sua foce quando ha vent’anni. La corda in montagna, del 1955, dove parla la corda manovrata da Cesare Maestri e Leo Gasperl nelle Dolomiti e nelle Alpi Occidentali. Palestra di campioni, del 1955, girato a Cervinia e a Sestriere dove i campioni internazionali si allenano per le olimpiadi di Cortina. Al sole delle Dolomiti, del 1955, una meravigliosa tavolozza di colori nella terra di Tiziano, premiato al Festival di Venezia. Uomini e montagne, del 1955, ardita ascensione su ghiaccio fatta da Toni Gobbi e Giulio Salomone sul Monte Bianco, premiato al Festival di Venezia. Neve d’agosto, del 1955, brillante ripresa nella conca del Breuil con la fiabesca discesa di Leo Gasperl con gli sci e le “ali di pipistrello”. Oltre le nubi, del 1955, Francesco Mazzetta e Valerio Quinz compiono un’ardua scalata nelle Dolomiti; c’è un terzo protagonista, il loro cane, che attende alla base.
Casara era un uomo che lavorava moltissimo se si considera che in soli due anni realizzò ben 14 film: sei nel 1954, otto nel 1955, i suoi anni d’oro. Nel 1958 gira D’estate a scuola di sci sulle nevi dello Stelvio con la partecipazione di veri campioni. Europa dall’alto, del 1959, è il film delle Alpi, un inno alla montagna italiana. In Gioventù sul Brenta, del 1967, alcuni giovani beat salgono in Brenta a suon di chitarra e molto chiasso, ma poi vengono attratti dalla montagna e ammirano la leggendaria salita che un alpinista sta facendo sulla via di Preuss al Campanil Basso; l’alpinista-attore nella bellissima ripresa è l’accademico trentino Diego Baratieri. Altri film di cui non si conosce la data di realizzazione, e risultano introvabili, sono: Il richiamo dell’alpe splendente, Europa 3000 sugli sci, A gara con le aquile, Una corda e un tozzo di pane, Gente di montagna, Roccia e ghiaccio, Sulle Torri di Sella.
In totale sono ventisette film. 27 piccole perle di arte cinematografica, a volte impregnate della retorica tipica di quell’epoca, ma certamente arte genuina e reale, senza le finzioni dei nostri giorni.
Ecco: questo è Severino Casara, la “mezza figura” nell’infelice definizione di “un grande”. E’ il Casara delle vie nuove, della letteratura, dell’arte cinematografica. E’ l’uomo “completo” che ha subito un “processo”, anzi due, perché avrebbe raccontato nel 1925 una colossale balla alpinistica circa la prima salita degli strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia. L’ha fatta questa via? Non l’ha fatta? Nessuno lo sa con precisione, non c’erano testimoni. Ma non ha importanza. Prove o non prove lo hanno ugualmente condannato all’ergastolo visto che ha vissuto 50 anni con questo peso sulle spalle. Neppure il beneficio dell’insufficienza di prove. Condannato dall’opinione pubblica alpinistica di un certo settore. Punto! Complice una presunta omosessualità (non esistente, secondo chi l’ha conosciuto bene, cioè la sorella Lelia, Emilio Comici, Mario Salvadori e altri) che, in quei tempi di “virilità di Stato” e di beatificazione del mito, era inconcepibile, imperdonabile.
Una simile “pena capitale” è scesa sulla testa di Cesare Maestri e di Tomo Cesen, tanto per nominare solo i più famosi. Ma lì si parlava (e si parla) del terribile Cerro Torre e del colossale Lhotse, con le loro immense vie e le difficoltà disumane. Sul Campanile di Val Montanaia, invece, si è creato un fatto assolutamente ridicolo, anomalo, assurdo, perché stiamo parlando di quattro (dicasi 4) metri quadri di parete; come dire: un paio di passaggi solamente per uno che aveva le braccia lunghissime come Casara. “Di fronte al pericolo di morte – mi ha detto un medico interpellato – l’essere vivente riesce a produrre una carica di energia tale da superare se stesso”. Niente da fare; Casara, nonostante le sue affermazione di innocenza, è stato condannato lo stesso. Ne valeva la pena?