Un nuovo sole sorge, sempre diverso – illusione – sempre lo stesso.
Di nuovo in parete, altri 400 metri di cielo a portata di millimetri.
Di quante rocce sono pieni i miei polpastrelli? Di quante nuvole i miei occhi? Di quante brezze la mia mente?
Scalo con un amico di vecchia data, con il quale non ho mai salito alcuna montagna, ma con cui mi sono allenato più volte nel lungo inverno. Comunichiamo a fatica con la corda; chi non arrampica non si rende conto di quanto sia l’essenza della vita stessa quel filo che ci lega. Si parla con la fune, quando le grandi nervature di Madre Terra ci separano, mentre le risaliamo, quando il vento porta lontano il grido, quando nessuno tra i nostri sensi è utile.
Con la corda noi entriamo in risonanza.
Sono abituato a scalare con altri amici ed in particolare con Erne, con cui potrei discorrere a lungo mediante la fune, senza mai parlare. Curiosamente avviene lo stesso con i cavalli quando vengono montati da fantini che non sono in grado di comunicare con il proprio corpo. La “bestia” è infastidita, non “obbedisce”. Quand’invece il cavaliere discorre con la cavalcatura attraverso il peso, i movimenti, l’atteggiamento, e persino la propria pelle, tutto cambia, e la musica fluisce semplice in un nuovo essere. Così è una cordata, un serpente a due teste, ma senza una coda, che spalla a spalla cerca la vita e danza difendendosi dall morte.
Oggi ho scalato con un amico. Da tanto non affrontava grandi pareti, è stato in grado di ballare sulle note della roccia. La stanchezza, il sole, la primavera, le primavere, lo hanno messo a dura prova, ma lui è arrivato lo stesso in cima, danzando in libera.
Altre cordate composte da altri amici hanno ripetuto gli stessi speroni sino alla vetta. Ci siamo incontrati più volte alle soste, nelle placche, nei piccoli strapiombetti. Ho sorriso con Mirella, ho quasi abbracciato Fed commosso. I discorsi sono stati tanti ed intensi i momenti; Mamma Natura ci regala sempre un angolo di paradiso che si paga con una sola moneta.
In cima abbiamo ritrovato il leggendario apritore che ha disegnato queste linee e tutte quelle in vista in ogni valletta. Un amico. Ci siamo ritrovati e poi tutti insieme siamo finiti a mangiare in una locanda, una sorta di baita in cui ragazzi e ragazze si stavano cimentando in balli folkloristici indossando grandi stivali da cowboy.
Birra, salumi di varia tipologia, formaggi e qualche verdura. Amici ad un tavolo con la corda nel cuore e lo spirito alto.
Mi mancano le mie terre selvagge, ma anche oggi ho fatto del mio meglio per “salvare la mia anima”.
Christian Roccati
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